Farmaci personalizzati: la Corte Suprema italiana sull’ “eccezione galenica”
22 novembre 2013
Pubblicato uno studio ufficiale UAMI-EPO
10 gennaio 2014

Ecco perché il nuovo sistema brevettuale europeo danneggerà le aziende italiane

Il comunicato stampa è scaricabile in formato pdf: clicca QUI

 

Il brevetto è un titolo di proprietà industriale che conferisce al suo titolare il diritto di sfruttare un’invenzione in regime di monopolio, cioè in esclusiva, sul territorio dello stato che concede il brevetto. La durata massima di un brevetto è 20 anni dalla data di deposito della domanda.

Attualmente un’invenzione può essere tutelata in Italia con un brevetto nazionale oppure con un ‘brevetto europeo’, spesso erroneamente definito comunitario dai non addetti ai lavori.

La procedura europea, che fonda le sue radici negli anni 70, prevede il deposito di una domanda di brevetto in inglese, o francese, o tedesco, all’Ufficio Europeo dei Brevetti EPO (European Patent Office) che ha sede principale in Germania, a Monaco di Baviera.

Attualmente con una domanda di brevetto europeo si possono designare inizialmente 38 Stati, cioè gli Stati dell’Unione Europea (EU) e in aggiunta Albania, Croazia, Islanda, Liechtenstein, Principato di Monaco, Norvegia, Svizzera, Turchia, San Marino e Repubblica di Macedonia, Serbia. E’ possibile designare anche Bosnia-Erzegovina e Montenegro pagando una sovrattassa.

La domanda di brevetto europeo viene esaminata nel merito dagli esaminatori dell’EPO, tecnici laureati e poliglotti. L’esame può portare al rifiuto della domanda di brevetto o alla sua concessione, il più delle volte in forma limitata rispetto a quanto inizialmente chiesto dal titolare.

Dopo la relativa concessione, il brevetto europeo non è automaticamente valido nei 38 paesi sopra menzionati. La procedura richiede la convalida del brevetto nei paesi di interesse tra i 38 inizialmente designati.

In altre parole il brevetto europeo concesso si trasforma in un fascio di brevetti nazionali, ciascuno dei quali è soggetto alla normativa e alla competenza dei tribunali della corrispondente nazione. Le tasse annuali di mantenimento in vita sono dovute in ciascuna nazione nella quale il titolare ha deciso di convalidare il brevetto.

La convalida è un atto formale che prevede, per ciascuno stato scelto dal titolare:

A) l’elezione del domicilio presso un consulente in brevetti iscritto al relativo albo nazionale. Tutte le comunicazioni dell’ufficio brevetti nazionale relative al brevetto saranno indirizzate non al titolare, ma al suo rappresentante nazionale;

B) il deposito della traduzione del brevetto nella lingua ufficiale dello stato.

La richiesta della traduzione del brevetto europeo nella lingua nazionale non deve stupire. In Europa ogni stato è sovrano e non parliamo tutti la stessa lingua, come invece avviene negli USA tra i cittadini di quel paese. Ad esempio chi è abituato a legalizzare nel nostro paese documenti prodotti all’estero (es.: atti di matrimonio, accordi di licenza/cessione, atti costitutivi di società, ecc.), sa bene che la traduzione è necessaria e richiesta dalle autorità.

D’altra parte è difficile pensare di esigere che un imprenditore italiano debba tener conto di brevetti redatti in tedesco che fossero per qualche motivo validi sul territorio dello stato italiano.

Pertanto da quando l’EPO è divenuto operativo il 1.06.1978 e fino al 01.05.2008, anno di entrata in vigore dell’Accordo di Londra, chi ha ottenuto un brevetto europeo ha dovuto sostenere costi di convalida negli stati di interesse. I costi di traduzione di un brevetto non sono trascurabili. Ad esempio la traduzione in un’altra lingua europea di un brevetto di 20 pagine concesso in lingua inglese può essere pari a circa 1200 Euro.

Ad esempio, il titolare di un brevetto europeo convalidato in 10 paesi ha quindi dovuto sostenere costi di traduzione mediamente pari a 12000 euro. E questi costi, sommati a quelli sostenuti per arrivare a concessione, hanno fatto storcere il naso a molti.

I brevetti nazionali generati da un brevetto europeo sono soggetti alla competenza dei tribunali nazionali. In Italia e in altri paesi la competenza è di appositi tribunali o Sezioni Specializzate in Proprietà Industriale (istituite con il decreto legislativo 27 giugno 2003 n. 168, in attuazione della delega al governo conferita con l’articolo 16 della 12 dicembre 2002, n. 273).

Negli anni a più riprese gli utenti del sistema brevettuale europeo hanno chiesto una riforma del regime linguistico volta a minimizzare o annullare i costi di convalida. Effettivamente, confrontando i costi che un’azienda mediamente sostiene per ottenere un brevetto in USA, che è valido automaticamente in tutti gli stati della federazione, con i costi sostenuti da un’azienda per ottenere lo stesso risultato in Europa, ci si è resi conto che questi ultimi sono di gran lunga maggiori proprio a causa delle spese di convalida.

Il sopramenzionato Accordo di Londra ha di fatto dato risposta alle richieste degli utenti, anche se parziale. Su questo punto e sui dettagli dell’Accordo torneremo in seguito.

In ogni caso, ben prima che l’Accordo di Londra entrasse in vigore nei principali stati europei, in seno alle istituzioni e tra gli operatori del settore iniziò un dibattito che ha portato alla definizione di diverse proposte di legge volte a intervenire sul regime linguistico del sistema brevettuale.

Il dibattito ha di fatto visto nascere una forte contrapposizione tra gli stati industrializzati del nord Europa e gli stati del sud Europa, Italia e Spagna in testa.

La posizione dell’Italia è sempre stata pragmatica, ovvero quella di adottare una sola lingua per un eventuale nuovo sistema brevettuale europeo: l’inglese.

Altri paesi, primi fra tutti Germania e Francia, hanno invece sempre spinto per mantenere l’attuale assetto dell’EPO basato sul trilinguismo, cioè sulla possibilità di concedere brevetti indifferentemente in inglese, o in francese o in tedesco. Questa posizione è stata adottata dal Consiglio Europeo e nel Giugno 2010 è stata integrata in una più ampia proposta di riforma del sistema brevettuale.

Nel Dicembre 2010, in mancanza di unanimità all’interno dell’Unione europea, 12 stati dell’EU (poi divenuti 25) hanno deciso di procedere senza il contributo di Italia e Spagna all’adozione del nuovo sistema brevettuale e del relativo tribunale sovrannazionale, sfruttando lo strumento legislativo della cosiddetta ‘cooperazione rafforzata’ previsto dalla normativa comunitaria e approvato poi dal Consiglio Europeo con decisione n. 2011/167/EU del 10.03.2011 (Official Journal L 76, 22.03.2011, pag. 53).

In particolare, nel mese di Dicembre 2012 il Parlamento Europeo ha approvato la proposta di riforma avanzata dal Consiglio Europeo e definita nel Regolamento n. 1257/2012 del 17.12.2012.

Il Regolamento, che di fatto istituisce un nuovo tipo di brevetto – definito ‘unitario‘ e non più europeo -, e uno speciale tribunale sovrannazionale competente a decidere sulla validità e sulla contraffazione dei brevetti unitari, è entrato in vigore il 20.01.2013, ma l’avviamento effettivo del nuovo sistema è previsto per il 1.01.2015 o più tardi, in quanto il nuovo Regolamento deve essere prima ratificato dagli stati dell’Unione Europea EU.

A differenza dell’attuale sistema del brevetto europeo, il nascente sistema del brevetto unitario non prevede le convalide nazionali e le relative traduzioni. Una volta concesso – in inglese, francese o tedesco -, il brevetto unitario è automaticamente valido negli stati aderenti. Ad esempio un brevetto unitario concesso in tedesco avrà valore anche in Belgio e nel Regno Unito.

Inoltre il brevetto unitario non si trasforma in un fascio di brevetti nazionali e pertanto è:

– soggetto al pagamento di una singola tassa annuale di mantenimento in vita, e non tasse in ciascuna nazione;

– soggetto alla competenza del tribunale speciale sovrannazionale, le cui decisioni avranno efficacia in tutti gli stati aderenti.

Non è necessario che tutti i 28 stati dell’EU ratifichino il nuovo Regolamento. L’unica condizione è che almeno 13 paesi procedano alla ratifica e che tra questi vi siano Francia, Germania e Regno Unito, in quanto scelti per ospitare le tre sedi principali del tribunale sovrannazionale.

A suo tempo Italia e Spagna si sono opposte alla cooperazione rafforzata, ma il 16 Aprile 2013 la Corte Europea di Giustizia ha confermato la Decisione del Consiglio.

Di fatto l’Italia non ha aderito al sistema del brevetto unitario, proprio a causa del suo regime linguistico, ma intende aderire al sistema dei tribunali speciali sovrannazionali.

La Spagna non partecipa a nessuna delle riforme e resta all’attuale sistema del brevetto europeo.

Spagna e Italia potranno aderire in qualsiasi momento al nuovo sistema.

Ma quali sono in pratica i costi connessi all’attuale brevetto europeo dopo la relativa concessione e che confronto può essere fatto con il nuovo sistema?

Circa la questione delle tasse brevettuali, i fautori dell’adesione dell’Italia al pacchetto del brevetto unitario sostengono che attualmente con il brevetto europeo si pagano tasse per ciascuno dei 28 Stati comunitari, mentre in futuro, con il brevetto unitario, si pagherà una sola tassa annuale il cui importo dovrebbe essere inferiore alla somma delle 28 tasse annuali.

Questa tesi però non regge poiché ad oggi meno del 2% dei brevetti europei viene esteso a tutti i 28 Paesi del’Unione Europea (fonte: European Scrutiny Committee UK House of Parliament) e quindi praticamente nessuno paga annualmente tasse per 27 Paesi.

E’ questa la chiave di volta per capire l’equivoco che si sta creando sull’argomento.

La scelta di non convalidare in tutti i paesi dell’Unione non è dettata principalmente da ragioni economiche. Alle imprese – e in particolare alle piccole e medie imprese SMEs – interessa tutelarsi soltanto nei paesi che rappresentano i principali mercati europei o i principali distretti industriali di produzione, ovvero l’Italia, la Germania, la Francia, il Regno Unito, la Spagna.

Oltre il 40% dei brevetti europei viene convalidato soltanto in questi cinque Paesi (fonte: European Scrutiny Committee UK House of Parliament).

Ad oggi, quindi, in media le imprese (anche quelle italiane) alle quali viene concesso un brevetto europeo convalidano in 4 o 5 Paesi e versano tasse soltanto in questi 4 o 5 Paesi, e non in tutti e 28 i Paesi dell’Unione europea come erroneamente ritenuto da molti.

Facciamo notare inoltre che ad oggi non esiste alcun listino della futura tassa annuale di mantenimento in vita del brevetto unitario. Pertanto non è possibile effettuare un confronto con l’attuale sistema. In ogni caso nel sistema del brevetto unitario non è prevista alcuna forma di rimborso a favore delle piccole e medie imprese.

Sempre per quel che riguarda le tasse brevettuali, il nuovo sistema del brevetto unitario è poco flessibile per il seguente motivo. Attualmente, se il titolare di un brevetto europeo volesse ridurre i costi di mantenimento del brevetto, è libero di rinunciare al brevetto per i Paesi che non sono più di suo interesse, e mantenere invece il brevetto soltanto per i Paesi in cui ha un effettivo interesse commerciale, con conseguente risparmio delle tasse che non deve più versare per i Paesi abbandonati.

Facciamo un esempio: se a un’impresa italiana venisse concesso un brevetto unitario e dopo 3 o 4 anni perdesse interesse per uno o più mercati (ad es. il Portogallo, la Gran Bretagna e l’Ungheria), essa sarà obbligata a mantenere in vita il brevetto anche in questi Paesi (continuando a pagare annualmente le tasse), perché l’alternativa sarebbe quella di rinunciarvi per tutti e 28 i Paesi. Quindi, l’impresa non può operare alcuna riduzione di costo senza rinunciare in blocco a tutto il brevetto.

Con l’attuale sistema del brevetto europeo, invece, l’impresa è libera di rinunciare al brevetto in Portogallo, Gran Bretagna e Ungheria, conservandolo negli altri Paesi, con conseguenti risparmi di costi derivanti dal fatto di non dover più corrispondere le tasse per i Paesi che non interessano più.

Lo stesso rilievo è stato sollevato dallo European Scrutiny Committee UK House of Parliament nello Studio “The Unified Patent Court: help or hindrance?” presentato al Governo britannico.

Vi sono inoltre ricadute per l’erario italiano.

Qualora l’Italia dovesse partecipare alla cooperazione rafforzata, vedrà diminuire le proprie entrate derivanti dalle tasse di mantenimento in vita dei brevetti che oggi incamera sia per i brevetti europei convalidati in Italia sia per i brevetti italiani.

Viceversa, se l’Italia non aderisse, vedrebbe incrementate le sue entrate per effetto dei depositi nazionali in Italia e delle convalide in Italia a cui il titolare di un brevetto unitario o europeo dovrebbe provvedere per proteggere l’invenzione anche nel nostro Paese.

Il Regolamento 1257/12 (art. 13) prevede un meccanismo di ripartizione delle tasse dei futuri brevetti unitari fra i Paesi partecipanti alla cooperazione rafforzata. Questo meccanismo non sarà conveniente per le seguenti ragioni: il 50% delle tasse spetta di diritto all’Ufficio Brevetti europeo; una parte del restante 50% andrà diviso in parti uguali tra tutti i 25 stati partecipanti (o 26 se partecipasse anche l’Italia); soltanto il residuo (il cui ammontare è sconosciuto) verrà ridistribuito in base a diversi criteri, come ad esempio il numero di brevetti depositati da ciascun Paese (chi più brevetta ottiene più soldi).

La restituzione ai Paesi aderenti di una piccola parte delle tasse brevettuali è quindi prevedibilmente insufficiente a compensare la perdita di entrate derivante dal fatto che gli stranieri non sarebbero tenuti a convalidare in Italia brevetti europei/unitari, se l’Italia aderisse al nuovo sistema brevettuale.

Per quanto concerne le traduzioni, è il momento di richiamare il sopramenzionato Accordo di Londra.

Ritorniamo per un attimo alle statistiche relative ai paesi di convalida degli attuali brevetti europei. Come già scritto, oltre il 40% dei brevetti europei concessi sono convalidati in soli cinque paesi: Italia, Germania, Francia, Regno Unito e Spagna. Di questi la Germania, la Francia e il Regno Unito il 17 Ottobre del 2000 hanno sottoscritto un accordo che prende il nome di Accordo di Londra (London Agreement on the application of Article 65 of the Convention on the Grant of European Patents), entrato in vigore nel 2008.

Attualmente gli stati europei aderenti all’Accordo sono: Albania, Croazia, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, Islanda, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Monaco, Paesi Bassi, Slovenia, Svezia, Svizzera, Regno Unito.

Gli stati aderenti all’Accordo di Londra hanno rinunciato a pretendere che i brevetti europei concessi e convalidati sul proprio territorio vengano tradotti nella relativa lingua nazionale. Al più è richiesta la traduzione di una minima parte del testo, le rivendicazioni. Ad esempio in Germania non è più necessario tradurre in tedesco l’intero testo di un brevetto europeo concesso in inglese, in Francia non è richiesta la traduzione in francese, ecc..

E‘ quindi evidente che i costi di convalida dei brevetti europei sono stati di fatto abbattuti per gli stati di maggior interesse delle aziende, mentre proprio la riduzione di questi costi è stato il cavallo di battaglia dei fautori del nuovo sistema.

In pratica oggi per convalidare un brevetto europeo in uno dei 19 stati aderenti al London Agreement si spendono poche centinaia di euro.

La nuova riforma è quindi nata già vecchia.

Per le ragioni esposte, gli scriventi ritengono che il nuovo sistema brevettuale non porterà i benefici sperati, in particolare per le aziende italiane.

Gli svantaggi principali, però, certamente derivano dal nuovo assetto scelto per il tribunale unico sovrannazionale, la cosiddetta Corte dei Brevetti Europei.

Da un’attenta lettura dell’Accordo istitutivo della Corte dei Brevetti Europei, infatti, risultano evidenti le gravi difficoltà, soprattutto di natura finanziaria, che il nuovo regime provocherà alle piccole e medie imprese italiane, che si troveranno ad affrontare gli altissimi costi ed i disagi derivanti dalla necessità di difendersi perlopiù all’estero, davanti a giudici stranieri, in una lingua diversa dall’italiano e dall’inglese.

L’Accordo, infatti, stabilisce che tutte le controversie – anche cautelari – in materia di validità e contraffazione aventi ad oggetto i Brevetti Europei ed i nuovi Brevetti Unitari saranno di competenza esclusiva, a seconda della materia, di un’unica Corte Europea suddivisa su tre sedi: Parigi, Monaco e Londra.

L’Accordo prevede anche la costituzione di Divisioni Locali nazionali) e Regionali (in comune tra due o più Paesi) che potranno giudicare solo sulle domande di contraffazione e, in via riconvenzionale, sulle domande di nullità, sempre che non si decida di rimetterle alla centrale Corte dei Brevetti Europei.

Presso le sedi di Parigi, Monaco e Londra la lingua di procedura sarà quella in cui è stato concesso il brevetto azionato, ovvero inglese, o francese o tedesco. Presso le Divisioni locali e regionali, invece, la lingua di procedura sarà quella del Paese in cui ciascuna Divisione ha sede o quella concordata fra i Paesi che hanno costituito una Divisione Regionale.

Sotto il profilo della competenza territoriale, una causa potrà essere introdotta presso la Corte centrale, presso la Divisione del luogo in cui ha sede il convenuto, c.d. forum rei oppure – caso più grave – presso la Divisione del luogo in cui si è verificata o sta per verificarsi la pretesa contraffazione, ovvero il forum commissi delicti.

Pertanto, grazie al meccanismo previsto, il titolare di un brevetto potrà agevolmente convenire in giudizio il presunto contraffattore italiano avanti la Divisione locale della propria nazione (del titolare) in una procedura nella lingua locale che porterà ad una decisone efficace sull’intero territorio dell’UE, con conseguenze potenzialmente devastanti in termini economici.

La Corte centrale e le sue Divisioni locali, infatti, avranno tutti i medesimi poteri istruttori, inquisitori e di condanna di un tribunale nazionale e le sentenze e tutti i provvedimenti, anche cautelari, avranno efficacia simultaneamente in tutti i Paesi dell’UE.

Un giudice di Monaco, Parigi o Londra, per esempio, potrebbe bloccare, all’esito di un procedimento d’urgenza tenutosi in tedesco, francese o inglese, l’intera attività di un’azienda italiana accusata di una contraffazione attuata solo in Italia, con sequestro dei beni, blocco dei conti bancari e divieto di commercio in tutta Europa.

Di contro, un contraffattore straniero citato in giudizio in Italia potrebbe proporre domanda di nullità del brevetto azionato contro di lui avanti una delle tre sezioni centrali, con conseguente possibile sospensione o trasferimento del giudizio italiano. In ogni caso si aprirebbe un secondo contenzioso in tedesco, francese e tedesco avanti un giudice di Londra, Monaco o Parigi con tutti gli invitabili costi.

Contro le sentenze della Corte di primo grado si potrà proporre gravame presso un’unica Corte d’Appello, con sede in Lussemburgo e la lingua di procedura sarà quella del giudizio di primo grado.

Come anticipato, i costi di queste procedure saranno pesantissimi. Basti pensare, ad esempio, ai costi che dovrà affrontare una PMI convenuta avanti la Corte di Monaco in una procedura in lingua francese, oppure convenuta avanti una Divisione locale nella nazione del titolare del brevetto azionato. La predetta PMI, infatti, dovrà verosimilmente sostenere i costi del suo legale di fiducia in Italia, i costi dell’avvocato corrispondente in loco e tutti i costi di traduzione nella lingua della procedura di atti e documenti.

L’entità di questi costi sarà tale da far si che, in molti casi, le aziende italiane si troveranno a soccombere o accettare transazioni inique senza difendersi efficacemente.

Da quanto sopra esposto risulta di tutta evidenza il forte sbilanciamento in favore delle imprese francesi, tedesche ed inglesi (multinazionali comprese), le quali avranno l’enorme vantaggio di gestire i contenziosi nella propria lingua e, nella maggior parte dei casi, davanti ai propri giudici, a scapito di tutti gli altri Paesi aderenti, in particolare dell’Italia, in stridente contraddizione con i fondamentali principi di eguaglianza dell’Unione Europea.

Vorremo infine fare un accenno al sistema di finanziamento della Corte Unica.

L’Accordo che istituisce il nuovo sistema prevede la costituzione ex novo ed il mantenimento di:

1. Il tribunale centrale di primo grado suddiviso nelle tre sedi di Parigi, Londra e Monaco di Baviera;

2. La Corte d’appello del Lussemburgo;

3. Una cancelleria per la Corte d’appello del Lussemburgo;

4. Una cancelleria per la sede di Parigi del Tribunale;

5. Una cancelleria per la sede di Londra del Tribunale;

6. Una cancelleria per la sede di Monaco di Baviera del Tribunale;

7. Il centro di formazione di Budapest per i giudici, i mediatori e gli arbitri;

8. Il centro di mediazione e arbitrato – sede di Lisbona;

9. Il centro di mediazione e arbitrato – sede di Lubiana;

10. Un comitato amministrativo;

11. Un comitato del bilancio;

12. Un comitato consultivo.

Tutto ciò va finanziato con il bilancio del Tribunale (artt. 37, 38 e 39 dell’Accordo).

Il bilancio del Tribunale è finanziato esclusivamente:

– dalle risorse finanziarie proprie del tribunale;

– dai contributi degli Stati membri contraenti (art. 36.1)

“Le risorse finanziarie proprie del tribunale sono costituite dai diritti processuali e da altre entrate” (art. 36.2). I diritti processuali (art. 36.3) sono le tasse che le imprese devono versare per avviare una causa.

Sul bilancio del Tribunale graveranno anche:

– gli stipendi dei giudici;

– gli oneri connessi al reperimento degli immobili e quelli correlati al funzionamento delle infrastrutture in generale.

In sintesi, il sistema sarà pagato:

1. dalle imprese con le tasse processuali, le quali, prevedibilmente, saranno piuttosto elevate al fine di riuscire a sostenere finanziariamente tutto il sistema nelle sue articolazioni;

2. dagli Stati aderenti.

Poiché le sedi centrali del Tribunale e la Corte d’Appello non si troveranno in Italia, paradossalmente le imprese italiane (e lo Stato italiano) pagheranno per poter essere giudicate all’estero, in una lingua diversa dall’italiano e avanti a giudici non italiani, oltre che per mantenere strutture che impiegheranno essenzialmente personale francese, inglese e tedesco.

Sottolineiamo inoltre che il Tribunale e la Corte d’appello del brevetto Unitario non sono organi comunitari. La UE, infatti, non è parte contraente dell’Accordo che li istituisce e dunque nessun contributo UE arriverà a sostegno del finanziamento di questo sistema.

 

Ing. Matteo Pes

Consulente in brevetti, studio Biesse

 

Ing. Ines Sangiacomo

Consulente in brevetti, studio Biesse

 

Avv. Fulvia Sangiacomo

Counsel dello studio Biesse 

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